21 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA POESIA AD ALTA VOCE (coordinamento didattico Prof.ssa VENTURELLA FROGHERI)

Il 21 marzo, primo giorno di primavera, si celebra la Giornata mondiale della Poesia, (World Poetry Day), ricorrenza istituita per la prima volta dall’UNESCO nel 1999 e volta a celebrare una delle forme culturali più belle di ogni epoca. Se è vero che la poesia di per se stessa vive nelle immagini per comporsi nel gioco delle metafore, delle analogie e della musica, nel ritmo e nella metrica, e d’altra parte ogni testo in versi è come una sorta di partitura fonoritmica, è chiaro che l’espressione poetica determina una ricchissima serie di stimoli non soltanto concettuali ma anche e soprattutto emotivi La poesia è quindi esperienza estetica ed insieme etica, che permette di sviluppare la conoscenza di sé e la comprensione dell’altro, attraverso il linguaggio delle emozioni e dei sentimenti espressi attraverso il linguaggio poetico. Il termine stesso poesia, in latino pŏēsis, si riconduce al verbo greco poiein: ποιέω significa produrre, fare, creare e poi, in senso più ampio, comporre. Andando ancora più indietro, è possibile risalire alla radice sanscrita pu- che ha appunto il significato di generare, procreare. E poiché il linguaggio influenza le nostre percezioni, i nostri sentimenti e i nostri pensieri, esso diviene anche strumento di trasformazione, veicolo di cambiamento.
Il 21 marzo non è soltanto una ricorrenza, ma una preziosa occasione di riflessione critica e di approfondimento. I brani che seguono costituiscono un piccolo repertorio di testi che possono sollecitare riflessioni. Gli alunni della classe III C fanno rivivere l’incanto dei versi poetici: un invito alla lettura o alla rilettura di componimenti densi di sollecitazioni critiche.
Voci di Giulia Baltolu, Margherita Baragliu, Claudia Beccu, Rosalia Bruno, Davide Carta, Cristiano Castangia, Teresa Cerullo, Giada Deiana, Francesco Paffi, Daniele Pisanu, Mariantonia Podda.
Un’adolescente di Wislawa Szymborska
Io – un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?
Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?
Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.
Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.
In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.
Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco –
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più –
ma non in modo certo.
Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.
Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.
La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.
Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.
Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa –
Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.
La conservo ancora
Bosco Itinerante di Tiziano Fratus
C’è
un bosco
che mi abita dentro,
un silenzio cantato e interminabile,
ruscelli che sgorgano e animali che corrono.
Io non so chi sono, ripete la voce, non so chi sono.
Ma sento che c’è questo mondo di fine trama
che abita ma luogo senza confini, qui,
nel petto, nel cuore, nella mente.
Popola le ore del sonno e
nutre le ore di pensiero.
Ecco perché quando
faccio ritorno nel
bosco reale mi
vien voglia
di urlare,
di amare
come ama
una madre che
non distingue un
figlio da un altro figlio.
Sono un bosco che cammina,
un bosco che radica
e sradica
La strada non presa di Robert Frost
Due strade divergevano in un bosco d’autunno
e dispiaciuto di non poterle percorrere entrambe,
essendo un solo viaggiatore, a lungo indugiai
fissandone una, più lontano che potevo
fin dove si perdeva tra i cespugli.
Poi presi l’altra, che era buona ugualmente
e aveva forse l’aspetto migliore
perché era erbosa e meno calpestata
sebbene il passaggio le avesse rese quasi uguali.
Ed entrambe quella mattina erano ricoperte di foglie
che nessun passo aveva annerito
oh, mi riservai la prima per un altro giorno
anche se, sapendo che una strada conduce verso un’altra,
dubitavo che sarei mai tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra molti anni:
due strade divergevano in un bosco ed io –
io presi la meno battuta,
e questo ha fatto tutta la differenza.
Pace non trovo di Francesco Petrarca
Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.
I due fanciulli di Giovanni Pascoli
Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d’oro
dell’ombroso viale, i due fanciulli.
Nel gioco, serio al pari d’un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de’ tigli,
tra lor parole grandi più di loro.
A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l’uno e l’altro, esangue,
ne’ tenui diti si trovò gli artigli,
e in cuore un’acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l’uno dell’altro per il volto, il sangue!
Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,
ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»
A letto, il buio li fasciò, gremito
d’ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d’ogni angolo al labbro alzino il dito.
Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.
L’uno si volse, e l’altro ancor, leggero:
nel buio udì l’un cuore, non lontano
il calpestìo dell’altro passeggero.
Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.
Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l’uno all’altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;
e rincalzò, con un sorriso, il letto.
Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all’ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a’ silenzi cupi
che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d’un’ape dentro il bugno vuoto.
Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d’aver fratelli in suo timor, non erra.
Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch’ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.
E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini
la Morte con la sua lampada accesa.
Non si ama con il cuore di Alda Merini
Non si ama con il cuore, si ama con l’anima che si impregna di storia,
non si ama se non si soffre e non si ama se non si ha paura di perdere.
Ma quando ami vivi, forse male, forse bene, ma vivi.
Allora muori quando smetti di amare, scompari quando non sei più amato.
Se l’amore ti ferisce, cura le tue cicatrici e credici, sei vivo.
Perché vivi per chi ami e per chi ti ama.
Vivi la vita di Madre Teresa di Calcutta
La vita è un’opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un’avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.
Noi siamo sardi di Grazia Deledda
Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.
Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi siamo sardi.
I ragazzi che si amano di Jacques Prévert
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini
La loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.
Spirito guida di Rosalia Bruno
Così egli mi venne in sogno
il cuor mio
la luce del mio animo
maestoso e benevolo
col volto pallido
Con la corona d’alloro
e le vesti d’un carallo intenso
intriso nei miei pensieri
e nei miei intorpiditi sensi.
M’ accarezzò la fronte
e mi rivolse maestose parole
facendomi cenno d’ udirlo con attenzione.
Pronunció poi versi poetici
alternati da una prosa assai elegante
tanto da risuonar come melodia
nel mio cuore assai irrequieto
di conoscere ciò che egli aveva da rivelarmi.
Egli mi indicò la via
quella che a suo tempo fu la sua
E mi esorto’ a proseguire.
Noi
anime affini
implacabili
desiderose di conoscenza.
Egli m’accarezzo la mente
li’ dove risiede il sapere
per poi accarezzarmi il cuore
dove lì io amo
e dove li lui ha amato
un’ amore irrefrenabile
ma vano
tanto da crogiolarsi nel dolore
e consegnare a me
il dono d’ amare al posto suo.
Così mi disse
d’ amare ancora la poesia
e accarezzare le sue vesti di parole
come lui a suo tempo fece
e d’ amare l’ uomo mio
come egli fece un giorno
con la sua angelica donna
che mai poté baciare
ne sentirne il profumo.
La luce della mia esistenza di Rosalia Bruno
Mi rifugio
nei sentieri più oscuri
desolati,
privi d’ ogni esistenza.
scovo la luce
anche nelle tenebre più oscure
e tu mia amata poesia
giungi a me
e scaldami il cuore.
o mia cara amica
abbracciami
non sono sola
se tu sei con me.
Ti ammiro,
ti innalzo sopra ogni cosa.
Le maree si placano
dinnanzi a te
l’ oscurità s’ inchina
ed ecco sbucare la luce,
ed io
trovo la via per tornare
a casa.
Mia amata
desidero spostar le tue parole
desidero accarezzar i tuoi capelli di rime
le tue vesti d’ amore
ed il volto tuo melodico.
Stringimi a te
non fuggiro’ via
sei la mia migliore amica
starò con te per sempre.
ll Lonfo di Fosco Maraini
Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio s’archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
Arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.