“TRUMP: TRA CHIAMATE INTERCETTATE E RIVOLTE A CAPITOL HILL” di Stefano Di Maio

Ciò di cui voglio occuparmi questo mese sono le registrazioni delle telefonate tra il Presidente Trump e il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, pubblicate i primi giorni dell’anno dal Washington Post.

«Brad, riusciamo a trovare 11.780 voti? Sono quelli che ci mancano per vincere le elezioni in Georgia», «No signor Presidente non ci sono state irregolarità».  In sostanza Trump, gli chiede di trovare il modo per ribaltare il risultato elettorale del 3 novembre, quando Joe Biden la spuntò più o meno con quello stesso margine. L’effetto delle dichiarazioni è stato devastante: una telefonata forse ancora più grave di quella con il neo presidente ucraino Volodymyr Zelensky («riapri l’indagine sui Biden o niente aiuti militari» che portò all’impeachment di Trump) per i repubblicani che si stavano preparando a contestare l’esito delle elezioni il 6 gennaio al Congresso; ma forse, come noi, neanche gli stessi membri del partito rosso si aspettavano che tutto potesse precipitare in così poco tempo fino a giungere ai drammatici scontri degli scorsi giorni a Capitol Hill. Il risultato degli scontri non ha fatto altro che alimentare tensioni tra Il presidente uscente e i suoi stessi sostenitori nonché con i membri del partito di cui è leader.

Sono passate poche ore dal video in cui Donald Trump si dice «indignato per la violenza, l’illegalità e il caos» dell’assalto al Congresso quando, sul social che ha accolto l’estrema destra, Parler, il leader dei “Proud Boys” Enrique Tarrio dà voce alla delusione di molti: «Ha appena detto che i patrioti che hanno preso il Campidoglio la pagheranno. Smettetela di pensare che tutto dipenda da lui. Dipende da TE, da me, da tutti noi in questo Paese e con le nostre libertà. Non fate le pecore. Pensate con la vostra testa. Trump ha appiccato il fuoco e poi se n’è andato, lasciandoci a gestire i resti carbonizzati»: Trump li ha abbandonati nel mezzo di una battaglia che lui stesso li aveva incitati a combattere.

Ritratto ufficiale del 45º Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump

Infatti, lo stesso partito repubblicano, come detto in precedenza, sta considerando seriamente di agire contro Donald Trump. I funzionari del partito stanno valutando azioni drastiche per fermare il delirio del presidente. Fra le misure prese in considerazione ci sono una censura, l’impeachment, e il 25esimo emendamento, misura quest’ultima «a lungo considerata soltanto una fantasia liberale» ma che sta avanzando nelle conversazioni interne alla Casa Bianca e al partito conservatore: Trump sarebbe giudicato incapace di svolgere le sue mansioni, e al suo posto sarebbe promosso il vice Mike Pence che porterebbe a termine gli ultimi giorni del mandato. Al 25esimo emendamento ha fatto riferimento anche il leader democratico al Senato, Chuck Schumer, che ha chiesto al vicepresidente Pence e al resto dell’amministrazione di agire subito affinché Trump «non resti in carica un solo giorno in più» essendo responsabile «dell’insurrezione da lui incitata» e il modo più veloce per farlo è appunto il ricorso alla procedura di destituzione d’ufficio.

Gli atteggiamenti del 45esimo presidente, a tratti paranoici e pericolosi per la pubblica sicurezza, spaventano anche la speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, che ha telefonato al generale Mark Milley, capo di Stato maggiore, cioè il più alto grado operativo delle forze armate statunitensi. Lo ha fatto sapere lei stessa con una lettera indirizzata a tutti i deputati democratici: «Abbiamo discusso sulle precauzioni disponibili per evitare che un presidente instabile possa lanciare iniziative militari ostili o accedere ai codici per ordinare un attacco nucleare. La situazione di questo presidente fuori controllo non potrebbe essere più pericolosa e noi dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per proteggere il popolo americano dal suo assalto scomposto al nostro Paese e alla democrazia». Ecco, quindi, un altro fosco scenario.

Si conclude, dunque, con un’ultima dichiarazione su Twitter («Non andrò all’Inaugurazione del 20 gennaio»), l’era di uno dei più discussi presidenti degli Stati uniti di tutti i tempi, che in questi ultimi giorni del suo mandato è riuscito a perdere le uniche due cose che in questi 5 anni di carica non lo avevano mai abbandonato: il favore del suo partito e i cittadini che avevano riposto in lui la speranza in un’America migliore.

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