Oggi 27 gennaio, Giornata della Memoria, ricorrono gli 80 anni dalla scoperta dei campi di concentramento nazisti, un anniversario che ci invita a riflettere profondamente su uno dei capitoli più oscuri della storia umana. L’apertura dei cancelli di Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen e altri campi da parte degli Alleati nel 1945 rivelò al mondo la portata dell’orrore del genocidio nazista.
Questi luoghi, progettati per l’annientamento sistematico di milioni di persone, furono il teatro di atrocità indescrivibili. Gli ebrei furono le principali vittime dell’Olocausto, ma anche Rom, disabili, oppositori politici, omosessuali e altre minoranze subirono persecuzioni e stermini. La scoperta dei campi mise a nudo l’estrema brutalità del regime nazista e segnò un punto di svolta nella comprensione delle capacità distruttive dell’odio e dell’intolleranza.
Ottant’anni dopo, il ricordo di quei crimini è più importante che mai. La memoria è una responsabilità collettiva: serve non solo a onorare le vittime, ma anche a prevenire che simili tragedie possano ripetersi. In un’epoca in cui il negazionismo e l’antisemitismo trovano ancora spazio, è cruciale educare le nuove generazioni sugli orrori del passato.
Il 2025 può essere l’occasione per rinnovare l’impegno verso i valori di dignità umana, uguaglianza e rispetto. Attraverso eventi commemorativi, mostre, conferenze e testimonianze dirette di sopravvissuti, possiamo continuare a tramandare la storia e a riflettere sul nostro ruolo nella costruzione di una società più giusta e inclusiva.
Ricordare i campi di concentramento significa anche interrogarsi sulle dinamiche che portarono a tali atrocità: il pericolo della disumanizzazione dell’altro, il ruolo della propaganda e la responsabilità di chi scelse di non agire. Ogni anniversario è un monito e un appello alla vigilanza.
Ottant’anni dopo, le immagini dei campi di concentramento continuano a scuotere le coscienze e a ricordarci che l’umanità deve sempre lottare contro l’odio e la violenza. La memoria non è solo un dovere verso il passato, ma una guida fondamentale per il futuro.
Anche quest’anno ci ritroviamo, in questa giornata di memoria e silenzio,a ricordare chi non c’è più, chi è stato strappato da mani umane, eliminato da uomini come lui.
Ricordiamo chi è morto di stanchezza, schiacciato dal peso dello sfruttamento, e chi, sopraffatto dal dolore, ha scelto di andarsene, consumato da una sofferenza troppo grande per il cuore.
Nel forno bruciavan malamente I corpi di coloro ch’erano rei Principalmente di essere ebrei O di esser diversi sessualmente
Tanti brutti ricordi indelebili nel cuore Lasciati dal campo di concentramento Sembran congelati dal gelido vento Narrati ancora per evitare quell’errore
Raccontan senza sosta i sopravvissuti Della crudeltà e cattiveria del soldato Che indifferente e per ordine di stato Non prova pietà per quei detenuti
È bene tutto questo non dimenticare Affinché non si ripeta il fatale errore E venga sempre condannato l’orrore Che deve portare tutti a ragionare
Non ho più visto mia madre Con le mani arrossate I sogni ammassati di bene Ho lasciato mia madre
Siederà ora stanca dei giorni Con milioni digiuni del tempo Tra vacui fantasmi e sangue lavato
Come fosse catarsi delle colpe d’un mondo il sadismo e il secondo peccato dell’uomo
Nei pianti percossi si è spento il genere umano Nel fiore fasullo che siamo incolpevoli
La poesia è dedicata alla profonda sofferenza che milioni di persone hanno dovuto patire a causa della cattiveria umana. Ecco qualche precisazione ad alcuni rimandi ed espressioni usate.
L’esordio è un riferimento alla testimonianza di Edith Bruck, che racconta come un soldato l’abbia separata dalla madre, dicendole di andare a destra e quindi ai lavori forzati, mentre la madre sarebbe andata a sinistra e quindi nella camera a gas. La seconda strofa si sofferma sulla morte della madre. L’espressione “Digiuni del tempo” si riferisce a coloro che sono stati uccisi presto, in particolare i bambini, mentre “Sangue lavato” ha due significati: possiamo pensare alla speranza che la morte ponga fine a tutte le sofferenze – e quindi il “sangue lavato” sono le atrocità terminate –oppure anche all’intenzione nazista di eliminare una “razza” e purificare quella tedesca; “Catarsi delle colpe d’un mondo” riguarda il “sacrificio” degli ebrei per le colpe e i mali dei tedeschi. Infatti, Hitler ha attribuito agli ebrei diverse colpe, tra cui la sconfitta tedesca durante la prima guerra mondiale. Il “lavarsi dalle proprie colpe con il sangue altrui” è un rimando alla parola olocausto, la più retta forma di sacrificio del giudaismo, che viene usata anche per descrivere il genocidio degli ebrei. Con l’espressione “secondo peccato dell’uomo” ci si riferisce alla tendenza umana a scaricare sugli altri le proprie colpe: dopo aver disobbedito a Dio, Adamo si rende conto di essere nudo e si nasconde: <<(Dio) riprese: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”.>> (Genesi 3:11-12 CEI 2008).
VALERIA CONTU, Classe 5^A
Ogni tentativo di giustificare quello che non è altro che desiderio di sangue e di prevaricazione è un insulto alla vita; così come l’indifferenza che l’uomo dimostra di fronte a certi crimini o l’assenza di una condanna pubblica di ciò che è evidentemente sbagliato è ugualmente una colpa. Da cui, “Ventotto apolitici più 3 fascisti eguale 31 fascisti” (Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa).
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005 decreta il Giorno della Memoria al fine di commemorare tutte le vittime dell’Olocausto. La data del 27 gennaio è legata al fatto che in quel giorno nel 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. La Liberazione dei sopravvissuti di Auschwitz e le loro testimonianze rendono noto per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista. La tragedia immane dell’Olocausto ha toccato il cuore di moltissimi autori e poeti. Di seguito alcuni testi poetici tra i più significativi, affidati alle voci degli alunni della classe III C: Margherita Baragliu, Claudia Beccu, Rosalia Bruno, Davide Carta, Teresa Cerullo, Eleonora Cottu, Sofia Cucca, Giada Deiana, Francesco Paffi, Mariantonia Podda, Greta Vitzizzai prestano le loro voci per condividere le espressioni poetiche, le emozioni, i sentimenti scaturiti da pagine tanto dolorose e buie della Storia. La poesia è testimonianza luminosa, memoria e ricordo che vince l’oblio.
Coordinamento didattico: Venturella Frogheri
Aprile di Anna Frank
Prova anche tu, una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è così bello.
Non le case o i tetti, ma il cielo.
Finché potrai guardare il cielo senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai ad essere felice.
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Auschwitz di Peter Paul Wiplinger
Considerare ogni parola sugli oggetti sugli occhiali sulle scarpe sui capelli tagliati sulle brune valigie con i nomi immagini di dolore documenti d’orrore le scatole ammassate di Zyklon B le bambole rotte nella vetrina le lunghe file nella latrina i ferrigni attrezzi nel crematorio considerare ogni parola su la realtà ad Auschwitz sbocciano rose rosse e il cielo è blu.
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C’è un paio di scarpette Rosse di Joyce Lussu
C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald.
Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi di ciocche nere e castane a Buchenwald. Servivano a far coperte per i soldati. Non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano prima di spingerli nelle camere a gas.
C’è un paio di scarpette rosse di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald. Erano di un bimbo di tre anni, forse di tre anni e mezzo. Chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni, ma il suo pianto lo possiamo immaginare, si sa come piangono i bambini.
Anche i suoi piedini li possiamo immaginare. Scarpa numero ventiquattro per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald, quasi nuove, perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole…
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Il Piccolo Giardino di Frantisek Bass
Il piccolo il giardino profumato di rose, è stretto il sentiero dove corre il bambino: un bambino grazioso come il bocciolo che si apre: quando il bocciolo si aprirà il bambino non ci sarà.
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L’appello del mattino di Krystyna Zywulska,
Il sole sorge sul campo di Auschwitz, splendente di un bagliore roseo stiamo tutti in fila, giovani e vecchi, mentre nel cielo scompaiono le stelle. Ogni mattino stiamo qui per l’appello Ogni giorno, con la pioggia o con il sole sui nostri volti sono dipinti dolore, disperazione, tormento. Forse proprio ora, in queste ore grigie, a casa mia piange un bambino forse mia madre sta pensando a me… La potrò mai rivedere? In questo momento è bello sognare ad occhi aperti, forse proprio ora il mio innamorato mi pensa Ma, Dio non voglia, se andassero a prendere anche lui? Come su uno schermo argentato l’azione continua splendida poco lontano arriva qualcuno in una limousine nuova e brillante. Scendono con lentezza e con grazia, le “Aufseherinnen” (1) indossano abiti blu. Ci trasformiamo immediatamente in pilastri di sale, numeri, nullità inanimate.
Ci contano con arroganza sprezzante loro, la razza più nobile sono i tedeschi, la nuova avanguardia che conta la marmaglia a strisce, senza volto. All’improvviso, come per una scossa elettrica, rabbrividiamo al pensiero che simile a un razzo ci balena in testa costei deve essere anche una moglie o una madre una donna… E anche io sono una donna… La pellicola sensazionale si svolge lentamente “Achtung!” Sistemare la fila! Questo è un momento davvero speciale, si avvicina il “Lagerkommandant”. È possibile che il mondo sia tanto pericoloso? Un fischio e, in un attimo, il silenzio fra di noi pronunciamo una preghiera quieta ma c’è qualcuno che ci può sentire? Il sole è di nuovo alto nel cielo, brillanti e rosei sono i suoi raggi. O Dio caro, ti chiediamo arriveranno giorni migliori?
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La farfalla di Pavel Friedman
L’ultima, proprio l’ultima, di un giallo così intenso, così assolutamente giallo, come una lacrima di sole quando cade sopra una roccia bianca così gialla, così gialla!
L’ultima volava in alto leggera, aleggiava sicura per baciare il suo ultimo mondo. Tra qualche giorno sarà già la mia settima settimana di ghetto: i miei mi hanno ritrovato qui e qui mi chiamano i fiori di ruta e il bianco candeliere del castagno nel cortile. Ma qui non ho visto nessuna farfalla. Quella dell’altra volta fu l’ultima: le farfalle non vivono nel ghetto.
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Mattino di Selma Meerbaum-Eisinger
Il vento canta la sua ninna nanna con un fruscìo di sogno, teneramente adula le foglie. Mi lascio sedurre e spio quel canto e mi sento come i prati.
Scrosci nell’aria rinfrescano il mio viso cocente, racchiuso nell’attesa. Nuvole in viaggio riversano la bianca luce che hanno rubato al sole.
La vecchia acacia spande il suo silenzio nel tremulo intrico di foglie. Gli aromi della terra si alzano, salgono e scendono poi su di me.
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Museo di Auschwitz di Michael Etkind
Capelli morti che un tempo abbellirono il capo di giovani donne ed ora giacciono dietro vetro trasparente.
Scarpe vecchie che calzarono i loro piedi e li condussero qui. E vecchi occhiali, denti finti, alcune stampelle, e qualche protesi.
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Se questo è un uomo di Primo Levi
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa, andando per via, coricandovi, alzandovi; ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.
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Da domani Poesia di un ragazzo trovata in un Ghetto nel 1941
Da domani sarà triste, da domani. Ma oggi sarò contento, a che serve essere tristi, a che serve. Perché soffia un vento cattivo.
Perché dovrei dolermi, oggi, del domani. Forse il domani è buono, forse il domani è chiaro. Forse domani splenderà ancora il sole. E non vi sarà ragione di tristezza.
Da domani sarà triste, da domani. Ma oggi, oggi sarò contento, e ad ogni amaro giorno dirò, da domani, sarà triste,
Oggi no.
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Filo spinato di Peter, bambino ebreo ucciso dai nazisti nel ghetto di Terezin
Su un acceso rosso tramonto, sotto gl’ippocastani fioriti, sul piazzale giallo di sabbia, i giorni sono tutti uguali, belli come gli alberi fioriti.
È il mondo che sorride e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce che qui dentro sboccino fiori. Non posso volare. Non voglio morire.
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La casa di Frantisek Bass
Fisso e fisso il vasto mondo, il mondo vasto e distante, fisso e fisso verso sud-est, fisso e fisso verso casa mia. Fisso e fisso verso casa, verso la città dove sono nato. Oh, mia città, mia città natale, con quale gioia tornerei da te.
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Nostalgia della casa, di autore Anonimo
È più di un anno che vivo al ghetto nella nera città di Terezin e quando penso alla mia casa so bene di che si tratta. O mia piccola casa, mia casetta, perché m’hanno strappato da te, perché m’hanno portato nella desolazione, nell’abisso di un nulla senza ritorno?
Oh, come vorrei tornare a casa mia, fiore di primavera! Quando vivevo tra le sue mura io non sapevo quanto l’amavo Ora ricordo quei tempi d’oro presto ritornerò, ecco già corro.
Per le strade girano i reclusi e in ogni volto che incontri tu vedi che cos’è questo ghetto, la paura e la miseria. Squallore e fame, questa è la vita che noi viviamo quaggiù, ma nessuno si deve avvedere:
la terra gira e i tempi cambieranno. Che arrivi dunque quel giorno in cui ci rivedremo, mia piccola casa! Ma intanto preziosa mi sei perché mi posso sognare di te.
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Auschwitz di Salvatore Quasimodo
Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola, amore, lungo la pianura nordica, in un campo di morte: fredda, funebre, la pioggia sulla ruggine dei pali e i grovigli di ferro dei recinti: e non albero o uccelli nell’aria grigia o su dal nostro pensiero, ma inerzia e dolore che la memoria lascia al suo silenzio senza ironia o ira.
Tu non vuoi elegie, idilli: solo ragioni della nostra sorte, qui, tu, tenera ai contrasti della mente, incerta a una presenza chiara della vita. E la vita è qui, in ogni no che pare una certezza: qui udremo piangere l’angelo il mostro le nostre ore future battere l’al di là, che è qui, in eterno e in movimento, non in un’immagine di sogni, di possibile pietà. E qui le metamorfosi, qui i miti. Senza nome di simboli o d’un dio, sono cronaca, luoghi della terra, sono Auschwitz, amore. Come subito si mutò in fumo d’ombra il caro corpo d’Alfeo e d’Aretusa!
Da quell’inferno aperto da una scritta bianca: “Il lavoro vi renderà liberi” uscì continuo il fumo di migliaia di donne spinte fuori all’alba dai canili contro il muro del tiro a segno o soffocate urlando misericordia all’acqua con la bocca di scheletro sotto le docce a gas. Le troverai tu, soldato, nella tua storia in forme di fiumi, d’animali, o sei tu pure cenere d’Auschwitz, medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne di vetro ancora strette da amuleti e ombre infinite di piccole scarpe e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie d’un tempo di saggezza, di sapienza dell’uomo che si fa misura d’armi, sono i miti, le nostre metamorfosi. Sulle distese dove amore e pianto marcirono e pietà, sotto la pioggia, laggiù, batteva un no dentro di noi, un no alla morte, morta ad Auschwitz, per non ripetere, da quella buca di cenere, la morte.
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Ricordatevi di Benjamin Fondane
Ricordatevi solo che ero innocente e che, come voi, mortali di quel giorno, avevo avuto, anch’io, un volto segnato dalla collera, dalla pietà e dalla gioia, un volto d’uomo, semplicemente!
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Olocausto di Barbara Sonek
Abbiamo suonato, abbiamo riso eravamo amati. Siamo stati strappati dalle braccia dei nostri genitori e gettati nel fuoco. Non eravamo altro che bambini. Abbiamo avuto un futuro. Saremmo diventati avvocati, rabbini, mogli, insegnanti, madri. Avevamo dei sogni, quindi non avevamo speranze. Siamo stati portati via nel cuore della notte come bestiame in macchina, senza aria per respirare soffocando, piangendo, morendo di fame, morendo. Separato dal mondo per non esserci più. Dalle ceneri, ascolta il nostro appello. Questa atrocità per l’umanità non può ripetersi. Ricordati di noi, perché eravamo i bambini i cui sogni e vite furono rubati.
ASCOLTA I PODCAST SUL 27 GENNAIO A CURA DEGLI ALUNNI DELLA CLASSE 3^C
La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare.
(Octavio Paz)
Le parole del poeta messicano Octavio Paz, premio Nobel per la letteratura nel 1990, si attagliano efficacemente a definire l’importanza della memoria: una espressione profondissima in grado di sollecitare il lettore e che in forme particolarmente dense di significato contiene insieme i concetti di memoria e ricordo. Si tratta di due termini che spesso utilizziamo indifferentemente come se fossero sinonimi ma che, come afferma Soren Kierkegaard nell’opera In Vino veritas, non corrispondono esattamente allo stesso concetto. Sia la memoria sia il ricordo permettono di preservare e quindi rivivere le esperienze, i fatti, le azioni, le emozioni del passato, ma sono legati a sfumature e suggestioni diverse. La parola ricordo trova la sua origine etimologica nel latino “re-cordor” e contiene in sé il termine “cuore”, si lega pertanto alla sfera tutta soggettiva, personale ed intima dei sentimenti, implica il potere di “richiamare al cuore” quanto abbiamo vissuto. La memoria, dal greco “μιμνῄσκω”, è una attività della mente, attiene all’ambito dell’intelletto. La memoria, afferma Octavio Paz, è ciò che ci ricorda: molte possono essere le interpretazioni di una locuzione così pregnante: si può dire che la memoria riporta al cuore chi davvero siamo, connette la nostra mente, con il suo potere conoscitivo, le sue facoltà di formazione di concetti, di comprensione, al nostro cuore, agli affetti, alle passioni, ai sentimenti. Per dirla con Borges: “noi siamo la nostra memoria”. Ed è la memoria il legame che annoda il passato, sedimentato in noi, alla cognizione autentica del presente, un presente che non finisce mai di passare: e sulla base di tale consapevolezza che può essere presupposta l’edificazione del futuro. Fare memoria storica entro una prospettiva critica esercitata dalle facoltà intellettive permette di acquisire conoscenze ed operare una analisi volta a comprendere gli eventi del passato, interpretare il presente, e quindi capire il nostro tempo in forme consapevoli e responsabili, nonchè ricavare moniti ed insegnamenti per il futuro. Ricordare ciò che è stato attivando i sentimenti significa però anche sforzarsi di maturare una conoscenza per così dire empatica, capace di generare compassione, comprensione autentica degli stati d’animo, dei sentimenti, delle gioie e delle sofferenze sottesi agli avvenimenti del passato, sottraendo all’oblio del tempo che tutto divora il ricordo di coloro che ci hanno preceduti. Una riflessione che si fa prepotentemente urgente in occasione del prossimo 27 gennaio, Giornata della memoria, istituita per non dimenticare le vittime dell’Olocausto e mantenere viva la coscienza di tutti e di ciascuno su una delle pagine più tenebrose e drammatiche del XX secolo. l’Olocausto e le atrocità e le violenze ad esso connesse, per assumere scelte responsabili finalizzate ad evitare che simili orrori si ripetano, mentre anche il nostro tempo è drammaticamente attraversato da forme di discriminazione e odio in varie forme e in molte regioni del mondo. Un memento indispensabile perché, come affermava Primo Levi, “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
Considerare ogni parola sugli oggetti sugli occhiali sulle scarpe sui capelli tagliati sulle brune valigie con i nomi immagini di dolore documenti d’orrore le scatole ammassate di Zyklon B le bambole rotte nella vetrina le lunghe file nella latrina i ferrigni attrezzi nel crematorio considerare ogni parola su la realtà ad Auschwitz sbocciano rose rosse e il cielo è blu.
Che cosa significa entrare in un luogo della memoria come il museo di Auschwitz, luogo nel quale si è consumato il più grande genocidio della storia, simbolo di orrore e sofferenze indicibili? In primis vuol dire rendere onore alla memoria delle vittime ed educare alla riflessione sulle nefaste conseguenze dell’odio razziale e dell’intolleranza. Peter Paul Wiplinger, scrittore, pubblicista e fotografo austriaco, vincitore di prestigiosi premi letterari, è un nome forse poco conosciuto in Italia, ma la sua poesia “Auschwitz” merita davvero di essere non soltanto letta ma soprattutto attentamente meditata per il profondo significato e le valenze autentiche che offre al lettore, attraverso uno stile semplice, asciutto, e perciò stesso efficacemente icastico. Considerare ogni parola sugli oggetti: l’incipit del componimento contiene un vero e proprio imperativo categorico netto, che allude al dovere inderogabile di esaminare attentamente, osservare con scrupolo. Lo sguardo deve appuntarsi sugli oggetti un tempo appartenuti a vittime innocenti, pietosamente raccolti ed esposti: occhiali, scarpe, capelli tagliati, valigie con i nomi, bambole rotte…Sono semplici oggetti, ma forse sono anche qualcosa di più, poiché rimandano idealmente a gesti, immagini, volti che vengono da lontano, richiamano delle storie : sono cose che un tempo sono state vive, che ancora contengono trame di vita, impigliate in emozioni, sensazioni, ricordi; cose che hanno accompagnato lungo le loro esistenze passi di uomini, donne, bambini che non ci sono più, i cui sogni sono stati troncati, le cui vite sono ormai infrante. Cose che hanno incorporato idee, affetti, cose che continuano ad essere deposito di sentimenti e che ora giacciono, racchiuse entro le vetrine di un museo, luogo della memoria collettiva, come struggenti, strazianti testimonianze di vite comuni, comunque uniche nella loro ferialità, spezzate dall’orrore e che non possono né devono essere dimenticate: immagini di dolore/documenti d’orrore. Fuori intanto sbocciano rose rosse/ e il cielo/è blu. La vita continua, con i suoi colori, i suoi profumi, la sua straordinaria intensità che sembra rispondere ad una continua istanza di rigenerazione e di rinascita, e diventa promessa di futuro. La natura continua a manifestare la sua bellezza incontaminata e l’incanto di uno splendore che si afferma con forza inesausta e che tenacemente si oppone alle brutture, alle nefandezze, agli orrori, alle violenze perpetrate dagli uomini contro altri uomini, quasi a voler indicare una via di speranza, di riscatto. Perché la vita vince la morte e la bellezza ha il potere di elevare le anime degli uomini, di redimerle, e quindi di salvare il mondo. Tanto più urgente e necessario e inderogabile il dovere di considerare ogni parola su la realtà, riflettere su ciò che è stato, esserne consapevoli per non dimenticare. L’Olocausto – ha detto Primo Levi – è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.
*docente di Lettere al Liceo Classico e Linguistico Asproni
La Giornata della Memoria 2024: Ricordare per Costruire un Futuro di Pace
Il 27 gennaio di ogni anno, la comunità internazionale si unisce per commemorare la Giornata della Memoria, un momento solenne dedicato a ricordare le vittime dell’Olocausto e a riflettere sull’importanza di preservare la memoria storica per prevenire futuri orrori simili. Il 27 gennaio 2024 non fa eccezione, e in tutto il mondo, cerimonie, eventi educativi e momenti di riflessione coinvolgono persone di ogni età, etnia e provenienza.
Il Significato della Giornata della Memoria
La Giornata della Memoria è stata istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto, il genocidio perpetrato dal regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo giorno è scelto perché il 27 gennaio 1945, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, rivelando al mondo l’orrore e la brutalità degli atti compiuti dal regime di Adolf Hitler.
Oltre a ricordare le sei milioni di vittime ebree, la Giornata della Memoria è un momento per commemorare tutti coloro che sono stati perseguitati e uccisi a causa della loro razza, religione, orientamento sessuale o convinzioni politiche. Questo giorno serve anche come monito contro l’odio, la discriminazione e l’indifferenza, sottolineando l’importanza di preservare la dignità umana e la giustizia sociale.
Eventi in tutto il Mondo
In tutto il mondo, le persone si riuniscono per partecipare a diverse iniziative legate alla Giornata della Memoria. Le cerimonie ufficiali, gli incontri educativi e le mostre storiche mirano a sensibilizzare il pubblico sulla necessità di ricordare il passato per costruire un futuro migliore.
Le istituzioni educative svolgono un ruolo cruciale, organizzando conferenze, seminari e proiezioni di film che approfondiscono la comprensione dell’Olocausto e delle conseguenze dell’indifferenza. Gli insegnanti dedicano tempo nelle scuole per educare le nuove generazioni sulla storia oscura del XX secolo, cercando di trasmettere valori di tolleranza, rispetto e comprensione.
Il Ruolo dei Media e della Tecnologia
I mezzi di comunicazione e la tecnologia giocano un ruolo significativo nel diffondere il messaggio della Giornata della Memoria. Attraverso documentari, interviste, articoli e post sui social media, il pubblico è costantemente informato sulla storia dell’Olocausto e sull’importanza di ricordare le atrocità del passato per evitare che si ripetano in futuro.
Costruire un Futuro di Pace
La Giornata della Memoria non è solo un momento di commemorazione, ma anche un impegno a costruire un futuro di pace, giustizia e rispetto reciproco. Rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto e delle persecuzioni passate è un atto di responsabilità collettiva che ci ricorda la fragile natura della libertà e della dignità umana.
Nel 2024, mentre riflettiamo sulle lezioni del passato, è imperativo agire con determinazione per contrastare ogni forma di discriminazione, odio e intolleranza. Solo attraverso l’educazione, la memoria e il rifiuto di dimenticare possiamo sperare di costruire un mondo dove la diversità è celebrata e la pace è la priorità.
Anche le Classi 3C e 4B, sotto la supervisione della prof.ssa Antonella Spada, docente di Storia e Filosofia, ha dato il suo prezioso contributo alla ricorrenza del 27 gennaio. Gli alunni hanno “eretto” un ideale muro di parole e di riflessioni sul significato di questa giornata. In occasione della Giornata della Memoria, in tutte le classi del Liceo Asproni sono stati realizzate attività e vissuto momenti in ricordo delle vittime dell’Olocausto. Chi con la realizzazione di alcuni podcast, chi con laboratori didattici durante le ore di lezione. Tanti tasselli che, una volta uniti, hanno offerto un quadro d’insieme sulla necessità di ricordare una delle pagine più buie della storia.
Un altro contributo da parte dei nostri alunni alla Giornata della Memoria, che si celebra oggi, giovedib27 gennaio. Questa volta la memoria viene celebrata in versi, immagini e parole, da Marco Sanna, alunno della 5^C, con grafica di Gabiele Puddu, della stessa classe, e con la collaborazione di Gabriele Mastio e Gianfranco Puggioni, della 4^B, tutti stimolati nel loro lavoro di ricerca dalla prof.ssa Peppa Depalmas, docente di Storia e Filosofia.
In occasione della Giornata della Memoria dialogheremo con la regista Liliana Cavani e il giornalista e divulgatore televisivo Massimo Bernardini.
I nostri ospiti ci guideranno in un dialogo che affonda le radici nel lavoro documentaristico e filmografico della Cavani, in particolare La donna nella Resistenza (1965), che è stato riproposto nel recente progetto di Rai Cultura “La TV di Liliana Cavani. Un romanzo di formazione”. Una preziosa occasione di ascoltare voci autorevoli e testimonianze dirette e indirette di un periodo storico da non dimenticare.
Il dialogo sarà introdotto da Giulia Albanese (Università di Padova) per l’Istituto Nazionale Parri e moderato da Gabriele Laffranchi, insegnante e direttore di Cosmopolites.
L’evento è rivolto a studenti e docenti della scuola scuola secondaria di secondo grado. Per ricevere il link della diretta è necessario registrarsi compilando il modulo d’iscrizione sottostante. Per qualsiasi necessità è possibile scrivere a info@amoreperilsapere.it.
L’evento è presentato dall’Associazione Amore per il Sapere e da ISTASAC dell’Istituto Nazionale Parri, in collaborazione con Cosmopolites e Istituto S.Orsola.
Gli alunni delle classi 3^B e 5^A, coordinati dalla prof.ssa Antonella spada, docente di Storia e Filosofia, hanno approfondito la storia dei ragazzi della Rosa Bianca (in lingua tedesca: Die Weiße Rose) un gruppo di studenti cristiani che si opposero in modo nonviolento al regime della Germania nazista. La Rosa Bianca fu attiva dal giugno 1942 al febbraio 1943, quando i principali componenti del sodalizio vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante decapitazione.
Il gruppo era composto da cinque studenti: i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, tutti poco più che ventenni. A essi si unì un professore, Kurt Huber, che stese gli ultimi due opuscoli. Operativo a Monaco di Baviera, pubblicò sei opuscoli, che chiamavano i tedeschi a ingaggiare la resistenza passiva contro il regime nazista. Un settimo opuscolo, che potrebbe essere stato preparato, non venne mai distribuito, perché il caddero nelle mani della Gestapo. Sebbene i membri della Rosa Bianca fossero tutti studenti all’Università Ludwig Maximilian di Monaco, avevano partecipato alla guerra sul fronte francese e su quello russo, dove furono testimoni delle atrocità commesse contro gli ebrei e sentirono che il rovesciamento delle sorti che la Wehrmacht soffrì a Stalingrado avrebbe alla fine portato alla sconfitta della Germania. Essi rigettavano la violenza della Germania nazista di Adolf Hitler e credevano in un’Europa federale che aderisse ai principi cristiani di tolleranza e giustizia.
LEGGI GLI APPROFONDIMENTI REALIZZATI DAGLI ALUNNI DELLE CLASSI 3^B e 5^A
Nel 1941, a soli ventun anni, Francisco Boix venne catturato dai soldati tedeschi e reso prigioniero nel campo di concentramento di Mauthausen: lì venne impiegato come fotografo dalle SS nel laboratorio fotografico del campo dove ebbe la possibilità di osservare e visionare più di migliaia di fotografie che raccontavano i crimini perpetrati sul campo, i nazisti che ci giungevano e le angherie che subivano i prigionieri. Da solo riuscì a sottrarre molto materiale e nasconderlo per poi recuperarlo poco prima di essere liberato: le migliaia di fotografie lo resero un testimone chiave al processo di Norimberga e Dachau.
Boix sarà ricordato dai i posteri come
“il fotografo di Mauthausen”.
Francisco nacque il 31 agosto 1920 a Barcellona e, essendo cresciuto in un quartiere popolare, militò nella Gioventù Socialista della Catalogna e si appassionò sin dalla giovinezza alla fotografia: una passione trasmessagli dal padre. Ottiene, perciò, durante la guerra civile spagnola, il lavoro di fotoreporter per la rivista “Juliol”. Alla fine degli anni ‘30 venne arruolato nella trentesima divisione dell’esercito; nel 1939 assieme ai repubblicani spagnoli fu costretto ad abbandonare il conflitto contro le truppe franchiste e ad esiliare in Francia, qui venne internato prima nel Campo d’internamento di Le Vernet e poi a Septfonds. Nel 1940 la Francia venne occupata dai nazisti e un anno dopo, il 27 gennaio, Francisco fu catturato dai tedeschi e reso un prigioniero politico spagnolo del Campo di concentramento di Mauthausen. Furono 9.328 gli spagnoli internati nei campi di concentramento nazisti, di questi, ben 7.532 furono internati nel solo campo di Mauthausen, fra questi c’era Francisco Boix, che sopravvisse alle 4.816 vittime spagnole uccise nel campo austriaco. La testimonianza di Boix viene considerata importantissima poiché durante i quattro anni di prigionia nel campo (fino al 5 maggio 1945) egli riuscì a raccogliere informazioni di importanza vitale, non solo sul campo di Mauthausen ma anche su quello di Gusen, che ebbe modo di visitare nel 1943.
La prima assegnazione, come per altri suoi connazionali, fu la famigerata cava di granito, sotto la supervisione del brutale SS Hans Spatzenegger, direttore delle cave. Ben presto però, grazie all’aiuto dei suoi compatrioti comunisti che, rispetto agli altri connazionali che lavoravano nelle cave, godevano di certi privilegi perché impiegati in servizi indispensabili (cuochi, segretari, tecnici o barbieri), fu assegnato al servizio identificazione dei prigionieri, un lavoro “privilegiato” e questo grazie al fatto di essere stato prima della prigionia un fotografo.
Il servizio identificazione era gestito dalla Gestapo che identificava e fotografava i prigionieri al loro arrivo, schedandoli, anche se molti SS ne approfittavano per sviluppare e stampare soggetti personali. Boix, dall’archivio esistente nel reparto identificazioni del campo, si accorse anche di come molte foto erano usate come propaganda idealizzando il campo di Mauthausen come un luogo “normale” con falsi prigionieri ben nutriti e felici. Un’altra scoperta di Boix fu quella che una sezione dell’archivio fotografico aveva un considerevole numero di foto di internati morti “accidentalmente” e illegalmente uccisi, ragion per cui a Mauthausen tutto veniva fotografato.
Il responsabile della sezione di identificazione era Paul Ricken, un fanatico nazista, che secondo il racconto che fece Boix, fu da subito interessato ad avere un assistente che aveva il compito di fotografare con una Leica scene e soggetti che di volta in volta gli avrebbe assegnato. Cinque mesi dopo il suo internamento, il 21 giugno 1941, Boix prese una decisione audace e allo stesso tempo pericolosa per la sua stessa vita ossia rubare le foto che dimostravano le stragi di massa, inoltre, poiché era lui che si occupava di sviluppare i negativi per poi stamparli, fece una copia in più di quelle foto che dimostravano la ferocia dei nazisti sugli internati. Cercò e trovò degli alleati validi nei componenti principali del partito comunista nel lager, che seppur pochissimi, diedero il loro nullaosta al piano, ritennero infatti che se anche solo uno di loro sarebbe sopravvissuto, avrebbe potuto portare la testimonianza di quelle foto al di fuori del campo e che quindi il gioco sarebbe valso la candela.
Le foto e i negativi rubati volta per volta furono nascosti in una prima fase, in un luogo inviso ai nazisti, il crematorio. Al mattino trasferivano il materiale “parcheggiato” nel crematorio permanentemente nella falegnameria del campo in cui lavoravano i compatrioti di Boix, ed in cui c’erano decine di nascondigli in un ambiente trafficato e rumoroso. Furono eseguiti 30 furti e usati diversi nascondigli. Una delle occasioni più importanti che poteva dimostrare fotograficamente che i vertici delle SSe del conoscevano quanto accadeva a Mauthausen si presentò quando il campo fu visitato dal Reichsführer delle SS, Heinrich Himmler, accompagnato da Ernst Kaltenbrunner, da diversi membri del partito ed impiegati delle industrie che sfruttavano la cava di Mauthausen. Ricken in quella occasione riprese tutto l’evento per cui il materiale fu a disposizione di Boix che, con uno stratagemma, fu portato fuori dal campo e consegnato a Frau Pointner, una donna coraggiosa che aveva rischiato la vita nascondendolo «in un buco del muro» dietro casa sua. Dopo la liberazione di Mauthausen da parte degli americani, Boix recuperò la sua “refurtiva”.
Liberazione di Mauthausen
La testimonianza di Boix con parte delle foto e dei negativi trafugati da Mauthausen vennero usati in due processi, quello internazionale di Norimberga e quello di Dachau condotto da giudici americani per i crimini commessi a Mauthausen. A Norimberga le sue fotografie e la sua testimonianza servirono ad incastrare Ernst Kaltenbrunner fotografato insieme ad Himmler e Franz Ziereis a Mauthausen. Kaltenbrunner aveva mentito ai giudici dichiarando di «non sapere dei campi. Dopo la liberazione di Mauthausen si trasferì a Parigi dove lavorò come fotoreporter per diversi giornali e riviste. Appena trentenne nel 1951 morì a Parigi per insufficienza renale, forse dovuta alle privazioni patite nel campo di concentramento. Nel 2017 la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, in una solenne cerimonia, ha reso omaggio a Francisco Boix. Nel riconoscere i meriti per il suo lavoro negli anni trascorsi nel campo di sterminio di Mauthausen, ha voluto riesumare i resti dal cimitero di Thiais, dove rischiavano di scomparire, per dare loro sepoltura nel Cimitero di Père-Lachaise, non distante da Paul Eluard e Gerda Taro.
“Avevo 8 anni ed ero una bambina, famiglia italiana da generazioni e generazioni. Facevo parte di quella minoranza di cittadini italiani di religione ebraica – trentacinquemila persone al tempo – che, di colpo, con le leggi razziali fasciste diventarono cittadini di serie B all’inizio, per poi arrivare a diventare di serie Z”
Così inizia il racconto di Liliana Segre, “Matricola 75190 di Auschwitz”, tratto da Memoranda. Strumenti per la giornata della memoria, a cura di D. Novara, edizioni la meridiana, Molfetta, 2003
Questa frase mi ha colpito dalla prima volta in cui l’ho letta perché secondo me rappresenta a pieno il motivo per cui ogni 27 gennaio ricordiamo la tragedia dell’Olocausto. Il passato non può e non deve essere cancellato, e per quanto doloroso possa essere per noi, deve rimanere impresso nella mente di ognuno affinché se ne possa trarre un grande insegnamento e quello che è stato non possa ripetersi più Purtroppo ancora oggi le discriminazioni sono ancora tante, per questo è importantissimo non essere indifferenti. Queste sono solo alcune frasi antisemite a Roma:
Il vento leggero muove l’abito: strisce grigie e strisce bianche si legano, stanno unite….reggono una stella giallastra, una serie di numeri attirano lo sguardo.
Il cielo grigio non ha pace: è sommerso da cupe nuvole che lottano contro i flebili raggi del sole,non abbastanza luminosi per stracciare la rete che avvolge il limpido cielo e che lo nasconde da occhi senza luce e affamati.
Si continua a marciare.
I piedi, avvolti nel cartone fradicio, si frantumano tra le pietre affilate.
Sulle spalle scendono leggere alcune goccioline….subito la pelle prova freddo.
Le fibre della camicia a strisce accolgono il polline delle nuove piante: gli occhi le guardano tristi….
La stella giallastra si bagna di lacrime dal cielo, dei pianti delle cupe nuvole che vengono ora lacerate da veloci lembi di luce, con un suono lento ma tremante.
Si continua a camminare.
Occhi attenti osservano dalle rocce, suoni incompresi giungono con urla.
Si viene spinti con i piedi: l’oscurità delle miniere ci attende, il piccone cerca la sua roccia….si entra ormai nel cuore della terra.
Si continua a marciare….forse li dentro troveremo un cuore.
La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. (…) Ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente
Antonio Gramsci
Non si parla solo di quello che la società era allora, ma di quello che di tanto in tanto è anche adesso. È proprio questo che dobbiamo imparare, a non essere indifferenti alle ingiustizie di ieri, di oggi e di domani, pensando che non si verificheranno. Dobbiamo impegnarci a contrastarle, così che quelli che verranno dopo di noi capiscano che non bisogna avere paura di denunciare il male nascosto nel mondo.
A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio
Anne Frank
Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere
Josè Saramago
Noi giovani siamo il futuro, dobbiamo ricordare ciò che è stato per non farlo accadere di nuovo. Solo grazie a noi le generazioni future potranno tramandare, a loro volta, la storia e la sofferenza che portò con sé la Seconda Guerra Mondiale, e le generazioni che verranno ancora…Nessuno deve dimenticare.
Il progresso, lungi dal consentire il cambiamento, dipende dalla capacità di ricordare… Coloro che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo.
George Santayana
Dimenticanza è sciagura, mentre memoria è riscatto
Anneliese Knoop-Graf
Io penso che queste frasi accomunino tutte le persone che sono state deportate nei campi di concentramento. Non sono infatti le prime o le uniche frasi che leggo con questo significato. Anche Primo Levi scriveva spesso dell’importanza del ricordare, augurando anche cose brutte a chi non lo faceva, compreso di vivere la situazione da lui vissuta. Penso che sia fondamentale ricordare chi ha avuto la forza e il coraggio di resistere, ancheperché non voglio che questa situazione si ripeta nuovamente.
Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare.
Liliana Segre
La memoria e la conoscenza sono determinanti, senza queste nessuna società può dirsi civile
Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo
Primo Levi
Le storie dei deportati sono dure e quasi inverosimili, per le disumane condizioni in cui essi erano costretti a sopravvivere. Troppe volte si continua a negare, a sottovalutare, a far finta di niente, eppure quel triste passato è così vicino, così pericolosamente vicino… Io non voglio rimuovere, non voglio dimenticare e mantengo viva la memoria di quanto accaduto ogni volta che sento soffiare i venti dell’intolleranza.
La maggior parte dei prigionieri è, comprensibilmente, tormentata da una sorta di complesso di inferiorità. Ognuno di noi è stato qualcuno, o almeno credeva di esserlo. Ora invece, qui ci trattano letteralmente come se non esistessimo neppure.
Viktor Frankl
In questa frase, scritta dallo psichiatra e filosofo austriaco Viktor Frankl in merito alla sua esperienza nel lagher, è spiegato bene come, nei campi di concentramento nazisti l’uomo venisse letteralmente “annullato”. Come racconta anche Primo Levi in “Se questo è un uomo”, nei campi avveniva una vera e propria trasformazione: i prigionieri subivano un trattamento tale da portarli a non considerarsi neppure tra di loro umani, ma animali. Si viveva, come tristemente noto, in condizioni terribili, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico, venendo appunto trattati come degli esseri inferiori, e spinti addirittura a convincersi di questo. A molti ex-deportati è stato chiesto il perché della mancata organizzazione della rivolta, la risposta è stata quasi sempre la stessa: il disumano trattamento riservato ai detenuti li ha portati inesorabilmente a pensare di non potercela fare. Nei campi si perdeva ogni briciola di speranza e fiducia, e il clima non poteva che essere di tragica rassegnazione.
Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo.
Anne Frank
L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.
Primo Levi
Ho scelto queste frasi perché hanno un significato molto importante per me, dicono che ciò che è accaduto non si può cancellare e fa parte del libro dell’umanità.
L’unica cosa che si può fare affinché ciò che è accaduto possa non ripetersi è non dimenticare.
Nei campi di concentramento sono state uccise milioni di persone senza alcun motivo, perché ritenute inferiori, per motivi politici o razziali.
Per questo il 27 gennaio è bene onorare il Giorno della Memoria”, al fine di ricordarci di tutte le vittime dell’Olocausto, che sono state circa 15 milioni, tra cui 6 milioni appartenenti alla religione ebraica, e di quello che tutte queste persone hanno subito, le violenze fisiche e psicologiche e l’odio che su di loro è stato versato
Albert Einstein, scienziato di fama mondiale, visse fra il 1879 e il 1955.
Egli come tutti gli altri ebrei durante questo periodo storico, dovette far fronte all’antisemitismo e ad una forte discriminazione persino in campo scientifico, tantoché ricevette numerose lettere con minacce di morte e rischiò persino la vita durante una delle sue lezioni, in seguito alle minacce di un gruppo di suoi alunni (1920).
Le sue teorie vennero criticate e ci furono molti tentativi di invalidarle, ai quali lui rispose nel “Berliner Tageblatt” con l’articolo “La mia risposta” in cui affermava che se non fosse stato per la sua etnia, nessuno lo avrebbe messo in discussione in tale misura.
Quando Hitler salì al potere in Germania e la situazione si fece troppo pericolosa, Einstein si trasferì negli Stati Uniti e nel 1939 assieme al suo collega Szilard, inviò una lettera al presidente Roosevelt, dichiarando che la Germania stava lavorando ad un nuovo tipo di bombe e che gli Stati Uniti avrebbero dovuto iniziare a fare lo stesso. Nonostante questo ne scoraggiò fortemente l’utilizzo, in quanto si trattava di bombe atomiche (la lettera dei due scienziati portò alla nascita del Progetto Manhattan). Einstein continuò a lavorare e studiare negli Stati Uniti anche dopo la seconda guerra mondiale, fino alla morte.
Tante persone persero la vita, ma alcune vite innocenti vennero salvate, da eroi silenziosi…
L’arte può avere un potere grandioso. Anche nel più grande degli orrori, infatti, può diventare un’arma. Un’arma per combattere la violenza, le ingiustizie , i soprusi. Tante persone cercarono di combattere il terribile nemico nazista con le armi, ma alcuni portarono avanti altre battaglie, imprese silenziose, compiute per salvare vite innocenti. Furono tanti i bambini rimasti orfani, e quando le vite dei loro genitori furono interrotte, in un secondo, rimasero soli in quel mondo tanto freddo e crudele, senza avere la possibilità di vivere la loro vita appena iniziata. Qualcuno fece tornare loro la speranza, cercò di aiutarli a sopravvivere, strappandoli al nemico che non voleva la loro vita. Marcel Marceau li aiutò. Condivideva con quei bambini il loro destino segnato, l’essere ebreo, il dover continuamente scappare. E per aiutarli, usò un’arma, potente ma silenziosa: la sua arte. Marcel Marceau, coraggioso membro della Resistenza francese, era un mimo, comunicava con i gesti, senza le parole, e proprio con i gesti fece tornare il sorriso a quei bambini, fece loro dimenticare l’orrore dandogli la possibilità di scappare dalla realtà buia e di immaginarne una diversa, fatta di storie raccontate in silenzio. Doveva sembrare che stessero semplicemente andando in vacanza vicino al confine svizzero…Lui sapeva, con il suo gruppo, che era un’impresa tutt’altro che facile, le insidie erano tante, i pericoli potevano trovarsi ovunque lungo la strada, ma voleva offrire ai bimbi la speranza di evadere da quel mondo in cui la morte era la loro unica prospettiva. Riuscì a salvarli, rimanendo nel loro cuore per sempre.
In occasione della Giornata della Memoria, in programma il 27 gennaio, proponiamo il monologo di Paolo Floris, attore della scuola di Ascanio Celestini, che racconta la storia di Vittorio Palmas, pastore di Perdasdefogu, deceduto due anni fa, all’età di 105 anni.
Rai Cultura ha realizzato un esclusivo Web-Doc, per conoscere e comprendere la tragedia della Shoah. I materiali, organizzati in sette sezioni tematiche, provengono dall’archivio storico della Rai e dagli approfondimenti più recenti prodotti da Rai Cultura. Accanto alle immagini che documentano quanto avvenuto si possono ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti e i commenti degli storici. Una infografiche, una fotogallery, una bibliografia e una filmografia essenziale, sono a disposizione di coloro che volessero approfondire ulteriormente, la conoscenza della Shoah.
Un interessante documento, a beneficio degli studenti, è disponibile nel sito Hub Scuola di Mondadori Education. Clicca sul LINK per accedere alla risorsa.