NOTE SU “AUSCHWITZ” DI PETER PAUL WIPLINGER, A CURA DI VENTURELLA FROGHERI*


Considerare ogni parola
sugli oggetti
sugli occhiali
sulle scarpe
sui capelli tagliati
sulle brune valigie
con i nomi
immagini di dolore
documenti d’orrore
le scatole ammassate
di Zyklon B
le bambole rotte
nella vetrina
le lunghe file
nella latrina
i ferrigni attrezzi
nel crematorio
considerare ogni parola
su la realtà
ad Auschwitz
sbocciano rose rosse
e il cielo
è blu
.


Che cosa significa entrare in un luogo della memoria come il museo di Auschwitz, luogo nel quale si è consumato il più grande genocidio della storia, simbolo di orrore e sofferenze indicibili? In primis vuol dire rendere onore alla memoria delle vittime ed educare alla riflessione sulle nefaste conseguenze dell’odio razziale e dell’intolleranza.
Peter Paul Wiplinger, scrittore, pubblicista e fotografo austriaco, vincitore di prestigiosi premi letterari, è un nome forse poco conosciuto in Italia, ma la sua poesia “Auschwitz” merita davvero di essere non soltanto letta ma soprattutto attentamente meditata per il profondo significato e le valenze autentiche che offre al lettore, attraverso uno stile semplice, asciutto, e perciò stesso efficacemente icastico.
Considerare ogni parola sugli oggetti: l’incipit del componimento contiene un vero e proprio imperativo categorico netto, che allude al dovere inderogabile di esaminare attentamente, osservare con scrupolo. Lo sguardo deve appuntarsi sugli oggetti un tempo appartenuti a vittime innocenti, pietosamente raccolti ed esposti: occhiali, scarpe, capelli tagliati, valigie con i nomi, bambole rotte…Sono semplici oggetti, ma forse sono anche qualcosa di più, poiché rimandano idealmente a gesti, immagini, volti che vengono da lontano, richiamano delle storie : sono cose che un tempo sono state vive, che ancora contengono trame di vita, impigliate in emozioni, sensazioni, ricordi; cose che hanno accompagnato lungo le loro esistenze passi di uomini, donne, bambini che non ci sono più, i cui sogni sono stati troncati, le cui vite sono ormai infrante. Cose che hanno incorporato idee, affetti, cose che continuano ad essere deposito di sentimenti e che ora giacciono, racchiuse entro le vetrine di un museo, luogo della memoria collettiva, come struggenti, strazianti testimonianze di vite comuni, comunque uniche nella loro ferialità, spezzate dall’orrore e che non possono né devono essere dimenticate: immagini di dolore/documenti d’orrore. Fuori intanto sbocciano rose rosse/ e il cielo/è blu. La vita continua, con i suoi colori, i suoi profumi, la sua straordinaria intensità che sembra rispondere ad una continua istanza di rigenerazione e di rinascita, e diventa promessa di futuro. La natura continua a manifestare la sua bellezza incontaminata e l’incanto di uno splendore che si afferma con forza inesausta e che tenacemente si oppone alle brutture, alle nefandezze, agli orrori, alle violenze perpetrate dagli uomini contro altri uomini, quasi a voler indicare una via di speranza, di riscatto. Perché la vita vince la morte e la bellezza ha il potere di elevare le anime degli uomini, di redimerle, e quindi di salvare il mondo. Tanto più urgente e necessario e inderogabile il dovere di considerare ogni parola su la realtà, riflettere su ciò che è stato, esserne consapevoli per non dimenticare. L’Olocausto – ha detto Primo Levi – è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.

*docente di Lettere al Liceo Classico e Linguistico Asproni

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